La Fotoincisione - Atto III
(Questa volta costruiamo qualcosa)

 

Siamo arrivati al terzo incontro su questo argomento che tanto interesse ha suscitato nei modellisti di tutta Italia. Quando ho accettato l'invito di Antonio Rampini per trattare un argomento modellistico a mia scelta, alle Giornate Fiorentine di tre anni fa, onestamente non sapevo scegliere tra i tantissimi che potevano essere interessanti e che io stesso ritenevo degni di essere sviluppati e trattati in questa sede. Alla fine, pensando di stimolare la creativita' che sta in ognuno di noi, allora scelsi di parlare della fotoincisione, che ritenevo la base di partenza per dar sfogo a tutti quei desideri repressi di rotabili che ognuno di noi deridera e che nessuno ci fara' mai.

Nel corso del primo incontro (vedi "Fotoincisione facile) abbiamo parlato di cosa vuol dire "Fotoincisione", abbiamo parlato di come vanno preparate le pellicole, dell'importanza dei crocini di registro, delle regole di base da osservare scrupolosamente, degli acidi, delle Aziende specializzate che fanno Fotoincisione per conto terzi; abbiamo anche visto che si puo' fare Fotoincisione anche senza l'uso delle pellicole. Una bella panoramica insomma che, ovviamente, non poteva essere del tutto esaustiva per l'esiguo tempo a disposizione.
Le richieste di continuare su questo argomento sono state parecchie, moltissime anche le emails arrivate direttamente a me, di conseguenza, l'anno scorso abbiamo mantenuto fede all'impegno, con il secondo step sull'argomento (vedi Fotoincisione parte II). In questa seconda sessione abbiamo approfondito gli aspetti piu' tecnici, infatti abbiamo parlato della dimensione delle lastre, dei testimoni, dell'offset, dell'incisione differenziata, della realizzazione delle piegature presegnate; abbiamo poi visto anche come realizzare piccoli volumi usando questa semplice tecnica e ci siamo addentrati perfino nei "trucchi" e negli escamotages necessari per superare alcuni problemi pratici.

In pratica oggi ne sappiamo abbastanza, tanto da poter parlare di un progetto completo, partendo dalle motivazioni per cui si decide di realizzare un determinato modello, fino alla sua realizzazione.

Decidiamo cosa fare
Per la sua stessa natura, la Fotoincisione non puo' fare miracoli; non tutto e' adatto al suo uso. Soggetti con parecchie bombature e forme poco geometriche ne limitano parecchio il suo uso, per cui, fin dall'inizio, la scelta dovra' spaziare entro un range di soggetti ben precisi, con forme assai squadrate o con arrotondamenti dei lamierati su di un solo asse cartesiano, sul tipo del locomotore della STEFER riprodotto qui sotto.

Tutto sommato non ci va neanche male, se consideriamo che le ferrovie di tutto il mondo hanno prodotto rotabili con queste caratteristiche per quasi un secolo. Ne troveranno minore utilizzo quei modellisti che sono appassionati di Epoca V, ma anche per loro molte cose saranno fattibili, se non proprio le testate degli elettrotreni piu' veloci, sicuramente le loro carrozze e tutte le diesel da manovra e poi i carri e ancora molto materiale di servizio.

Quindi i soggetti riproducibili per mezzo della fotoincisione sono moltissimi, dalle locomotive ai locomotori, dalle carrozze ai carri merce, ai ponti, ai segnali, alle stesse case per il plastico, la scelta e' difficile solo perche' vastissima. Ecco qui sotto una banalissima panoramica dei progetti di materiale motore e trainato che si possono affrontare con la Fotoincisione.

 

Secondo me, pero', in questo caso, essendo questo il primo progetto che affrontiamo, direi che e' da privilegiare un insieme di non eccessiva difficota' costruttiva. Intendiamoci bene, progettare una locomotiva o un locomotore lascia aperte mille strade e lascia libero l'autore di sofisticare a piacere la sua opera, quindi anche un soggetto relativamente banale, nel pieno rispetto dell'originale, puo' essere complicato a volonta', come, per contro, un soggetto di per se' molto complesso si puo' semplificare moltissimo, pur mantenendone inalterato l'aspetto generale, tantopiu' questo e' riscontrabile nella scala N. Come sempre il giusto sta nel mezzo, ma, a priori, per agevolare questa ricerca di compromesso verso la facilita' costruttiva, penso sia opportuno cominciare con lo scegliere un soggetto di per se' relativamente semplice.

La grande indecisione
Alla fine della ricerca su quale mezzo fosse piu' opportuno scegliere, ero ancora indeciso tra due soluzioni, ambedue egualmente valide, almeno per me, il primo era l'E 400.

Di questo locomotore avevo tutto, comprese tutte le misure, avendolo a suo tempo gia' realizzato in scala H0 (mooolti anni fa), ma il fatto che fosse una macchina elettrica, quindi non congrua in moltissimi impianti che non sono provvisti di linea aerea e che, proprio per questo, prevedesse inoltre la realizzazione di un pantografo, cosina questa un po' delicata per molti, mi hanno fatto propendere per il secondo.

Il secondo candidato, a mio avviso perfetto per questa occasione, era il Ld 372, altrimenti conosciuto tra gli appassionati con il soprannome di Tobruk, di cui, peraltro, non avevo nulla se non qualche sparuto articolo su di vecchie riviste fermodellistiche, nemmeno una misura, ma che, essendo una macchina diesel, ero convinto che si sarebbe adattata meglio ai plastici dei piu', inoltre, cosa che mi preme far osservare, sarebbe stato una prima assoluta in scala N.

Deciso per il Tobruk!
Non avendo altra scelta, mi sono recato nel deposito delle FER (ex FP) a Ferrara e, grazie alla gentilezza del personale e del sig. Malavasi in particolare che ringrazio ancora, me lo sono misurato, controllato e guardato in ogni dove e ho potuto scattare un bel po' di foto, anche degli interni, ai due esemplari superstiti, ormai accantonati da tempo, ma ancora in buone condizioni estetiche. Questa e' sempre la cosa migliore da fare, anche se a volte risulta difficile, ma l'osservazione diretta fa capire immediatamente molte piu' cose su come realizzare il modello, molto meglio che qualsiasi monografia (tra l'alto tutte, incredibilmente, con le foto prese di 3/4 che a noi modellisti servono a ben poco). In questi casi e' opportuno fare dei bei primi piani ad ogni particolare, perche', quando saremo davanti al nostro computer, scopriremo che saranno proprio quelle le foto piu' importanti che avremo fatto.

A questo punto, avendo a disposizione foto e quote dell'originale, praticamente tutto cio' che serve, possiamo passare alla fase realizzativa.

Nell'approcciarsi a un qualsiasi progetto e' buona norma, direi cosa fondamentale, suddividerlo idealmente, fin dall'inizio, in parti da realizzare separatamente. Le motivazioni di questo sono molteplici, ma, essenzialmente, le piu' importanti sono due; innanzittutto si ottiene una piu' facile realizzabilita' dei vari componenti considerandoli uno per uno e, secondariamente, ma egualmente importante, cosi' facendo, si ottiene automaticamente la separazione dei colori in cui e' dipinto l'originale, cosa molto importante in funzione della successiva verniciatura del modello. Ovviamente la separazione in parti non dovra' pregiudicare il corretto assemblaggio delle stesse, quindi sara' opportuno prevedere una serie di incastri che permetteranno poi un assemblaggio corretto con tutte le parti inequivocabilmente al loro posto ed in linea.

Sostanzialmente, nel modello che ci accingiamo a progettare, la suddivisione che attueremo sara' quella di separare il tetto, la cassa, i musi e la parte bassa comprendente i panconi e le griglie laterali. Questa suddivisione, comunque obbligatoria per il tetto che sporge dal filo cassa, ci permettera' di verniciare il tetto o tinta alluminio o tinta isabella a seconda che vogliamo riprodurre rispettivamente l'Ln 372.002 o una delle altre due gemelle, essendoci questa diversita' cromatica tra i tre esemplari, inoltre ci permettera' di verniciare la cassa e i musi in isabella e la parte bassa in castano, senza usare maschere e con una netta, perfetta e linearissima divisione dei due colori.

Iniziamone la progettazione
Importanti considerazioni preliminari
Cominciamo quindi con il guardare il disegno e le sue misure di base, dopo averlo riportato sul nostro computer e averlo ridotto alle esatte misure in scala. Guardiamo innanzittutto le misure in pianta. Noteremo subito con un certo disappunto che il Tobruk e' molto stretto. Le ruote dei carrelli, obbligate dalla cassa che le copre quasi totalmente, non hanno la sufficiente liberta' di movimento trasversale per permetterne l'iscrivibilita' in curve di raggio modesto. Qui entra subito in gioco la filosofia che ci guidera' nell'affrontare il progetto; restare fedeli alle misure dell'originale e disinteressarsi della possibilita' di usarlo su di un plastico, o adottare quelle piccole modifiche per permetterne un uso operativo? A questa domanda non saro' io a rispondere, in quanto ognuno di noi ha i suoi concetti di "giusto" di "corretto" e di "possibile" che provengono dal profondo della sua mentalita' e delle sue esperienze. Ognuno di noi reputa fondamentale qualcosa che per altri puo' essere irrilevante. Posso dire solo che, siccome parliamo di scala N, operativa per eccellenza, per me non c'e' dubbio e il modello deve essere leggermente "corretto" per permettergli di poter circolare liberamente sui nostri plastici, ovviamente ognuno conosce quali siano i raggi minimi presenti sul suo plastico e, in questo caso, adattera' la "correzione" alle sue esigenze specifiche. Ecco qui sotto la foto della zona del carrello, foto decisamente utile per il ragionamento che seguira'.

Le strade percorribili per far girare maggiormente il carrello nella sua sede, non sono molte; se non e' possibile stringere le ruote, in pratica bisogna allargare la cassa. Pero' l'allargamento indiscriminato della cassa porta a variare, anche se leggermente, le proporzioni della macchina, per cui, soprattutto in funzione della quasi invisibilita' delle sospensioni primarie, quelle ai lati delle boccole, come si puo' notare dalla foto, in questa occasione ho pensato di seguire una strada a meta' tra l'allargamento della cassa e una minore necessita' di spazio in larghezza, al fine di ottenere sia una buona inscrivibilita' in curva, sia una modifica dell'aspetto praticamente irrilevabile. Spiego meglio il mio pensiero. Visto che le fiancate dei carrelli sono praticamente invisibili, ho pensato di riprodurre solo la balestra trasversale della sospensione secondaria, unico elemento relativamente visibile; questa scelta mi ha permesso di recuperare immediatamente un certo spazio libero, quello che avrebbe occupato la sospensione primaria, quindi, di conseguenza, una certa maggiore iscrivibilita' immediata che, verificata al computer, mi dava gia' una possibilita' di utilizzo su curve a meta' strada tra i raggi R3 e R4, questo senza modifica alcuna alle misure in scala della cassa. Ritenendo comunque insufficiente questa inscrivibilita' per la maggioranza degli impianti, ho anche operato un allargamento proporzionato di tutta la macchina di circa 1 mm e questo mi ha portato, grazie soprattutto alla vicinanza tra i due carrelli che con soli 8 gradi di rotazione permettono l'iscrivibilita' anche in R1, a non avere alcun problema su nessun impianto, essendo R1 il minimo raggio possibile.

Questi ragionamenti tecnici, fanno capire che, nell'approccio con un nuovo progetto, e' importante affrontare e risolvere subito la parte che puo' ingenerare qualche problema, perche' e' questa che determina le misure del resto. Tutto cio' che verra' dopo, dovra' necessariamente adattarsi alle misure decise per queste parti leggermente corrette, fondendosi in esse e risultando, alla fine del lavoro, completamente armoniche con l'insieme. In relazione all'inscrivibilita' dell'Ln 372 in curva,ho operato anche un altro piccolo intervento, questa volta sulle griglie laterali, che mi ha permesso di recuperare, ancora senza modifica alcuna alle quote della macchina, qualche decimo di mm per lato, sembrera’ poca cosa, ma sommato al resto porta anch’esso il suo contributo, comunque dopo riprenderemo questo discorso.

Collocazione temporale
Come ogni altra macchina di qualsiasi ferrovia, anche la nostra Ln 372, alias Tobruk, nel corso del tempo ha subito parecchie modifiche, un po' per ragioni funzionali e un po' per ragioni tecniche; quel che conta e' che, nel fare un modello ex novo, si deve decidere sempre in che epoca collocarlo, dandogli quindi l'aspetto e i particolari tecnici che aveva in quel preciso periodo storico. Il nostro Tobruk, nato per rispondere ad esigenze belliche, inizialmente non aveva le lunghe griglie che vediamo nella foto sopra, quelle le ha acquisite negli anni 90 per permettere una piu' agevole manutenzione dei carrelli e delle loro boccole; non aveva nemmeno i tubi di scarico che salgono verso l'alto davanti al posto di guida, in origine i due scarichi erano laterali in basso, nella zona destra dei carrelli, ma questo voleva dire che quando accellerava in partenza, soffiava fumo nero sulle gambe di chi era sul marciapiede della stazione, in attesa del suo treno, quindi sono stati spostati nella posizione attuale. Ma anche mantenendo questa nuova posizione hanno subito ulteriori modifiche, in quanto inizialmente il fumo di scarico tendeva a entrare in cabina, quindi, per la verita' solo verso la fine della loro carriera, i tubi sono stati prolungati fino a quasi il centro del tetto.

Anche le visiere di protezione che si vedono tra i finestrini del posto di guida queste macchine le hanno acquisite nel tempo, in origine non esistevano, come il rigonfiamento sulla destra dei musi che non e' una caratteristica originale, in quanto e' dovuto alla copertura di una supplementare pompa dell'aria, posta in essere nei primi anni in cui arrivarono a prestare servizio presso le Ferrovie Padane, in quanto la produzione precedente di aria compressa non era sufficiente con treni passeggeri, sia pur di poche carrozza, ma dotate di freno continuo.

Come si vede le modifiche sono state parecchie nel corso della vita di queste macchine, mai quante ne hanno ricevute le macchine trifase, ma piu' che sufficienti a far cambiar loro, di volta in volta, significativamente l'aspetto globale. Dovendo scegliere un'epoca, ho pensato di fermare il tempo nell'epoca in cui queste macchine sono confluite nelle Ferrovie Padane, in quanto cosi' facendo avrebbero mantenenuto un aspetto usabile sia come FP che come FS, inoltre con questa scelta, avrei ottennuto anche di alleviare il modellista di parecchie incombenze, mancando alcuni particolari aggiunti in epoca successiva.

Cominciamo a disegnare, piegare e saldare
Da quanto abbiamo visto fi qui, la prima cosa che dobbiamo disegnare, quindi, sara' la parte bassa scatolata. Facendo tesoro di quanto abbiamo detto nelle precedenti "lezioni" (vedi Fotoincisione 1 e 2) disegneremo su due livelli, sopra la parte visibile dall'esterno, quindi comprendente le zigrinature dei praticabili anteriore e posteriore e tutte le forature per i particolari che vi andranno fissati e sotto le linee di piega oltre alle forature poste esattamente in asse con quelle del livello superiore, in modo tale da ottenere un particolare con i seguenti due aspetti.

Penso che sia opportuno procedere armonicamente con disegno e lastrine gia' ottenute, per avere immediatamente rispondenza da cio' che si sta facendo. Quindi, una volta piegate le quattro ali, il risultato, visto dal lato in cui e' previsto il gancio, e' il seguente:

Naturalmente il "nostro" Tobruk sara' solo statico, eventualmente motorizzabile previo l'inserimento, dal di sotto, di una meccanica adeguata.
Si notera' come i testimoni io li ponga solo sul livello inferiore per averli di spessore meta' rispetto allo spessore della lastra, ma nulla vieta di porli sia sotto che sopra, per ottenerli di spessore intero; si notera' altresi' come le due pareti verticali anteriore e posteriore siano diverse, ma questo e' solo frutto della scelta di preparare una testata atta all'inserimento del gancio modellistico, anche qui, nulla vieta di riprodurre tutte e due le testate uguali, come al vero, tantopiu' se lo si utilizzera' come mezzo accantonato, su di un tronchino, tra le erbacce, proprio com’e’ la realta’ di oggi, in questo caso, pero’, bisognera’ adeguarne l’aspetto ai giorni nostri.

Si noteranno anche quei quattro rettangolini neri alle estremita' delle parti verticali laterali, ebbene, quelli sono gli spazi occupati dalle griglie che abbiamo visto nelle foto precedenti, ma che, essendo posizionato il nostro Tobruk in anni non recenti, le griglie, allora, avevano dimensioni minori rispetto ad oggi, esattamente la meta'. La scelta di applicarle per saldatura in un secondo momento e non ricavarle direttamente insieme alle fiancate verticali, e' dovuta alla ricerca, di cui parlavo prima, di recuperare spazio prezioso per la rotazione del carrello; in questo modo possiamo recuperare altri 3 o 4 decimi rappresentati dallo spessore della lastrina e rispondere meglio allo spessore al vero di quelle griglie che, se realizzate direttamente sul fianco, sarebbero risultate eccessivamente "piatte" e ci avrebbero imposto anche pareti sottilissime, di meta' spessore. A questo proposito, qualcuno molto attento, potrebbe obiettare che, essendo i carrelli imperniati nel loro centro, aver liberato qualche decimo da un lato non migliora in alcun modo il grado di rotazione del carrello. In effetti e' cosi', ma il motivo di questa mia ricerca di spazi qua e la' e' di natura diversa, infatti, non avendo noi una protezione che si interponga tra la ruota e la fiancata della parte bassa scatolata, potrebbe verificarsi che a sterzata completa, tra due pareti metalliche parallele come in questo caso, si generi un cortocircuito, in quanto ruote a contatto con potenziali diversi scaricherebbero attraverso la parte scatolata. L'aver recuperato quei pochi decimi ci mette al riparo da questo pericolo, poiche', ora, potranno toccare lo châssis solamente ruote di uno stesso lato e non dei due lati contemporaneamente. Vediamo quindi che I pochi decimi sono effettivamente recuperati alla rotazione del carrello, perche’, diversamente, avremmo dovuto fermare con qualche mezzo le ruote prima che toccassero la fiancata, mentre cosi’ facendo, possono liberamente toccare lo chassis senza problema e senza che noi dobbiamo fare qualcosa. Quando si costruisce in metallo bisogna tener conto anche di questo genere di eventualita'. Ecco nel disegno sottostante la differenza di comportamento tra la soluzione di destra e quella di sinistra. Non bisogna stancarsi mai di ricercare i particolari utili, anche se piccoli.

Per avere un'idea piu' reale di cio' che si sta facendo, potrebbe essere interessante, le prime volte, stampare questi particolari su carta o cartoncino, ritagliarli, eseguire le pieghe necessarie e verificare quindi in 3D quello che si e' fatto.

Bene, una volta verificato che la base sia a posto, passiamo alla sovrastruttura, quindi cassa e musetti.

Disegnare lo sviluppo dei musetti e' abbastanza facile, ma devo dire che questi mezzi molto squadrati non sono mai difficili e raramente presentano difficolta' di un certo rilievo. Lo sviluppo dei musetti, quindi si presentera' come da disegno posto qui sotto, anch'esso diviso nelle due viste, lato superiore e lato inferiore.

Come si sara' visto dalle foto, i musetti hanno gli spigoli arrotondati; questo sarebbe un problemino non indifferente se si volesse realizzarli piegando fisicamente la lamiera in rotondo. Fortunatamente la scala ci da una mano e si vedra' come sia sufficiente fare delle pieghe secche a 90° e poi arrotondare con limette gli spigoli risultanti. La rotondita' dei musi reali e' dell'ordine dei 10 cm di raggio; 100 mm in scala N significano la bellezza di 0,6 mm di raggio. Per ottenere questa rotondita', che e' comunque superiore allo spessore del lamierino che usiamo, bisogna ricorrere ad un piccolo ed usatissimo stratagemma, cioe' quello di saldare all'interno le linee di piega con abbondante stagno, in modo che sia esso a sostituire quel po' di materiale che verrebbe a mancare. Un piccolo disegnino puo' essere molto esplicativo.

Non dovete avere particolari titubanze circa la resistenza della saldatura, pensate solo che moltissimi modelli che avete in metallo bianco fondono alla meta’ della temperatura dello stagno che avete usato per questa operazione.

Giusto per non poterla rovinare nella succitata fase della limatura degli sigoli dei musetti, ho realizzato la mascherina separatamente dalla struttura dei musetti, in modo da incollarla, o saldarla per i piu' bravi, solo a lavoro ultimato. Un pericolo in meno.

Ho detto sopra che, per avere la certezza che ogni particolare vada al suo posto, ben allineato a tutto il resto, e' cosa opportuna crearsi dei riferimenti, dei piccoli incastri che possano garantire il corretto posizionamento del pezzo che stiamo aggiungendo. Anche questi musetti hanno bisogno di un riferimento per essere posti inequivocabilmente nella corretta posizione. Per ottenere questo, nella fattispecie, ho usato gli stessi testimoni che, quindi, non dovranno essere tagliati a raso del corpo del musetto, ma dall'altro lato, in modo da lasciare tre codine utili a posizionare correttamente il musetto sulla cassa che presenta, appositamente, tre posizioni in cui incastrare le tre codine; si potra' eliminare l'eccedenza in lunghezza delle tre codine subito dopo averle saldate alla cassa.

Adesso e' arrivato il momento di piegare e saldare la cassa. Questa e' una operazione alquanto semplice, essendo le pieghe presegnate all'interno; l'importante sara' solo verificare che sia rispettata l'ortogonalita' delle quattro pareti. Consiglio sempre di saldare le pieghe appena fatte per irrobustirle e per evitare che il metallo stirato e incrudito dalla piegatura, considerando anche l'esiguo spessore in quei punti, durante i vari maneggiamenti, possa spezzarsi, vanificando quindi il vantaggio di operare con pezzi gia' uniti stabilmente.

Dopo aver saldato all'interno i quattro spigoli della cassa, piegare verso l'interno le quattro alette forate, presenti alla base delle due facce di testa e saldarle robustamente, ognuna su due lati, alla cassa stessa. Queste alette saranno quelle che terranno unita la cassa al telaio, previo quattro vitine da M 1,4. Allo scopo, ma solo dopo averle saldate, bisognera' filettare i quattro forellini con un maschio, appunto, da M 1,4.

Siamo quindi arrivati all'assemblaggio dei musetti con la cassa. Questa e' un'operazione, non difficile, ma di una certa precisione; bisogna innanzittutto verificare che tutto combaci perfettamente e che non cisiano bave od altro a distanziare i musetti dalla cassa. Una volta corrette le eventuali anomalie, ma con pezzi fotoincisi bene tutto questo non dovrebbe succedere, posizionare il primo musetto nella sua sede, utilizzando gli incastri di cui ho parlato prima e verificare che cassa e musetto siano perfettamente complanari nel bordo inferiore. Questo si puo' ottenere tenendo premuti tra di loro delicatamente con le dita i due elementi poggiati su di una superficie perfettamente piana e, una volta riscontrato il perfetto posizionamento, saldando alla cassa, dal di dentro, le tre codine del musetto. Il risultato sara' di questo tipo:

A questo punto, passeremo alla saldatura di tutti i particolari che avremo disegnato, come, per esempio, le griglie della parte bassa, le serrande della cassa, le alette parasole ai finestrini del lato guida, i ganci di officina, i mancorrenti, le maniglie, i fanali e via dicendo. Circa le serrande, dovrei fare un discorsino a parte; infatti, al fine di mantenere piu' solida la struttura, ho tenuta legata la parte inferiore dell'apertura delle serrande stesse, per mezzo di una sottile sbarretta trasversale che dovra' essere eliminata nel momento in cui si deve saldare la serranda nella sua posizione. Nelle serrande, poi, ho ricavato anche due piccoli incastrini nella parte inferiore che, entrando in apposite cave poste nella scatola inferiore, serviranno a mantenere allineata la parete della cassa con la parete del sottocassa, anche in considerazione che i modelli normalmente li si prende in mano stringendoli al centro delle pareti laterali; in questo modo si evita di incurvare verso l'interno la parete stessa nel caso di una presa un po' troppo energica. Questi due piedini li si sarebbe potuti posizionare anche sulla parte inferiore della cassa, ma in quel caso ci si sarebbe trovati in difficolta' nell'allineamento sul piano, nell'assemblaggio dei musetti alla cassa. Ricordiamoci sempre che progettare bene vuol anche dire pensare alle necessita' del montaggio, agevolando le fasi successive della costruzione vera e propria.

C'e' un particolare di cui vi vorrei parlare separatamente, cioe' delle scalette. Essendo queste molto piccole e, inoltre, formate da quattro pezzettini, non sapendo poi quale livello di manualita' avranno gli appassionati titolati a montarle, ho pensato di tentare una strada un po' innovativa, cioe' quella di realizzarle in un unico pezzo da ripiegare due volte su se' stesso, per ottenere la scaletta finita, poi, con una semplice rotazione contrapposta dei gradini attorno ai loro pernini. In teoria e' semplicissimo, vedremo poi nella pratica.

Spero di aver fatto cosa gradita a coloro che si sarebbero trovati in difficolta' nel maneggiare cosine di queste dimensioni, da tenere ortogonali e da saldare tra di esse in modo da ottenerne un unico complesso stabile e robusto. La saldatura, eseguita dal di sotto dei gradini, comunque, risulta egualmente necessaria, anche se questi sono tenuti in posizione dai pernini. Questo e' un altro piccolo trucchetto a cui ricorrere, a volte e dove questo sia possibile, per ottenere una piu' facile esecuzione di particolari minuti e difficili da mettere a registro, evitando cosi' la costruzione di una apposita mascherina.

Bene, siamo a buon punto, adesso affrontiamo un altro scoglio un tantino difficile se non lo si e' mai affrontato prima: il tetto e le sue curvature.

Il tetto per questo modello e' rappresentato da un rettangolino di 55 x 20 mm circa e bisogna piegarlo in modo arrotondato con un raggio abbastanza stretto (r = circa 2 mm), lungo i lati piu' lunghi e, impercettibilmente (r = 85 mm), cioe' con una curva di raggio molto ampio, tra queste due pieghe. Al fine di trovare il giusto profilo in modo pratico e senza dover intervenire continuamente sulla cassa con il rischio di rovinarla, ho preparato una piccola dima con il profilo da ottenere, che sara' utilissima per verificare la corrispondenza degli arrotondamenti fatti, alle necessita' del modello. Non si puo' sbagliare nel riconoscerlo, ci ho scritto sopra "Dima piegatura tetto", eccolo qui sotto.

Per questo genere di pieghe, molto lunghe e relativamente dolci, si potrebbe fotoincidere il retro della lastrina con righine fitte e sottili, lunghe quanto la parte da piegare arrotondata, ma questo va in qualche misura a detrimento della robustezza del particolare, quindi, normalmente, per ottenere curvature non troppo strette, come in questo caso, io sono solito affidarmi al ricuocimento delle zone da piegare, questo per ottenere una buona malleabilita' della lastrina, e una mascherina di legno, arrotondata su di uno spigolo quanto basta. Ci sono anche altri sistemi per ottenere questo genere di arrotondamenti, ma ne parleremo se avanzasse qualche minuto alla fine del Master.

Una volta piegato, adattato per quel che puo' servire e saldato il tetto in posizione, ci dovremmo trovare ad aver la cassa finita. Eccola qui.

Non e' male, anzi, e' proprio carino il Tobruk, vero? Sta bene anche in questa livrea grigio-fotografico. A me questa macchinetta piace moltissimo, ha tutte quelle cose, tipo i musetti e l’aspetto desueto e mite di chi lavora senza brontolare, che me la rendono simpaticissima, un effetto tipo E 626, pero’ diesel.

Coraggio che siamo quasi alla fine del lavoro. Ora dobbiamo pensare solo ai carrelli e poi la costruzione e' completa e, a quel punto, manchera' solamente di dipingerla.

Essendo una macchina non motorizzata, il lavoro sui carrelli e' quantomai semplice; bastera' procurarsi quattro sale di una qualsiasi carrozza, con le ruote di 6 mm di diametro e l'asse da 1 mm, a cui vanno eliminate le punte coniche, fare poche pieghe ed il gioco e' fatto. Infatti, se guardiamo le lastrine dei carrelli, noteremo solo i due segni incisi sul lato superiore. Bastera' piegare a 90 gradi verso l'alto le due pareti laterali per avere il telaio del carrello gia' finito.

Si notera' certamente come le due alette che vanno piegate verso l'alto siano diverse nei due carrelli; questo e' motivato dalla necessita' che uno dei due carrelli, solo uno, abbia il compito di dare l'assetto alla macchina, mentre l'altro sara' libero di muoversi in ogni direzione. Per ottenere questo risultato, e' sufficiente che le alette con il pronunciamento verso l'alto sfiorino il piano inferiore della parte bassa scatolata che vi si appoggera'. Questo limitera' a due soli i gradi di mobilita' di questo carrello che, quindi, potra' ruotare e basculare solamente in senso longitudinale.

Poche pieghe anche per le piastrine fermaassi che, invece, potrebbero essere perfettamente identiche. Nel nostro caso la diversita' consiste nell'aver inserito in una di esse la struttura portagancio per rendere il Tobruk trainabile da un'altra loco o messa in coda ad un convoglio a mo' di doppia simmetrica. Il gancio previsto per questa applicazione, e' quello di una vecchia carrozza Roco, ma, essendo tutti molto simili, andra' bene anche un qualsiasi altro portagancio di vecchia produzione del tipo Arnold, bastera' solamente allinearlo in altezza agli altri ganci del parco rotabili posseduto. Nel caso lo si volesse ambientare come accantonato, sara' sufficiente tagliar via l'asta portagancio e metterlo, adeguatamente invecchiato, tra le erbacce incolte di un tronchino.

Desidero far notare che la piastrina fermaassi viene a trovarsi ad un livello piu' alto di circa 1 mm di quello che deve invece essere il livello delle balestrine trasversali della sospensione secondaria, quindi, come visibile nel disegno sopra, si dovra' piegare leggermente verso il basso le due alette di sostegno delle balestrine, sempre mantenendo, pero', la verticalita' delle stesse.
Per fissare i carrelli alla cassa, bisognera' costruirsi due nottolini, alti all'incirca 5 mm, da saldare da un lato alla cassa e dall'altro forati e filettati da M 1,4 per avvitare ad essi la base del carrello, al centro, dove e' gia' presente il foro di misura. Per fissare i carrelli a questi nottolini, ssi usera' quindi una vite da M 1,4, meglio se con un po' di collo non filettato, La testa della vite restera' in parte annegata nello spessore della piastrina fermaassi che, al centro, presenta un foro di misura leggermente superiore al diametro della testa della vite.

Siamo proprio arrivati alla fine della nostra costruzione, ora bisognera' pulirla per bene da ugni residuo di pasta salda, o di acido, usati per eseguire le saldature. Elimineremo tutto lo stagno in eccesso dalle saldature e laveremo con detersivo per piatti ogni pezzettino che compone la nostra opera, quindi l'asciugheremo con aria compressa o con un phon per chi non avesse a disposizione l'aria compressa (ricordo pero' che si trova anche in comode bombolette usa e getta). Fatto questo, saremo pronti per la verniciatura che, come abbiamo visto, e' resa molto facile dalla suddivisione in parti dello stesso colore e non necessita di alcuna mascheratura. Aspetteremo che tutto sia ben asciutto; con acetato sottile creeremo la vetratura e rimonteremo con attenzione i vari componenti.

Se dovesse essere utile, lo schema completo per il montaggio di questo locomotore lo si puo' trovare a questa pagina

Finito.

Adesso avremo un nuovo modello, assolutamente unico e fuori catalogo.

Un grazie a chi ha avuto pazienza e mi e' stato ad ascoltare fin qui.

Ciao a tutti e... all'anno prossimo.

Giorgio Donzello